Cenacolo e Chiesa di Sant'Apollonia

Via San Gallo, 29. (Apri Mappa)
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Descrizione

Il cenacolo di Sant'Apollonia a Firenze è solo una piccola parte di quello che un tempo era il grande convento di Sant'Apollonia, di regola benedettina, fra i più grandi conventi femminili della città, posto fra le odierne via San Gallo, via XXVII aprile e via Santa Reparata. Dedicato alla santa martire Apollonia, venne fondato nel 1339 da Piero di Ser Mino, per le monache benedettine, così com'è scritto nell'atto di fondazione presso l'Archivio di Stato di Firenze. Tra il 1440 ed il 1441 furono annessi al monastero anche l'abbazia di San Maria a Mantignano e l'ospedale di San Pietro a Porta Pinti. Nell'occasione la badessa Cecilia Donati chiese l'autorizzazione a papa Eugenio IV per eseguire lavori di ammodernamento e ingrandimento della struttura. Vennero allora ampliati il chiostro ed il cenacolo, un'ampia sala rettangolare con soffitto a cassettoni e una serie di finestre sulla parete destra, affrescato su un'intera parete da Andrea del Castagno nel 1447. A causa della clausura delle monache, il cenacolo fu completamente ignorato dalle fonti antiche, infatti Vasari, Bocchi, Richa non ne parlano nelle loro opere su Firenze, le sue meraviglie e le sue chiese. La scoperta si ebbe solo dopo la soppressione e la requisizione del convento nel 1864 per usi militari. Una parte del convento infatti fu demolita per l'apertura di via via XXVII aprile e molti ambienti furono trasformati in uffici o abitazioni. Solo dopo la seconda guerra mondiale la struttura è passata all'Università di Firenze. Inizialmente la scena venne riferita a Paolo Uccello, ma Cavalcaselle e Crowe l'assegnarono ad Andrea del Castagno, poi sempre confermato come autore. Dopo la scoperta, nel 1891, fu istituito un museo, allora denominato come "Museo di Andrea del Castagno".La particolarità dello spazioso refettorio sta nel grande affresco di Andrea del Castagno raffigurante l'Ultima cena, un tema molto usato per le sale dove i monaci o le monache consumavano i pasti, dipinto tra il 1445 ed il 1450. Le più recenti analisi della documentazione disponibile (Corti e Hartt) collocano il possibile intervento di Andrea del Castagno tra il giugno e l'autunno del 1447. L'affresco, che occupa l'intera parete ovest del refettorio, è composto di una parte centrale, dove si trova per tutta la lunghezza della parete l'Ultima Cena e di una parte superiore dove, intervallati da due finestre, si trovano (da sinistra) le scene della Resurrezione, Crocifissione e Deposizione. Questi affreschi al momento del rinvenimento del cenacolo (1861) erano scialbati da un intonaco bianco, per questo sono peggio conservati. Nel 1953 si decise di staccare questa parte superiore perché si stava deteriorando per via dell'umidità, e in quell'occasione furono trovate le significative sinopie, che, pure staccate nel 1961, furono collocate sulla parete opposto. Nelle sinopie Andrea uso una tecnica mista, sia col disegno che con lo spolvero e apportò numerose variazioni nella stesura definitiva degli affreschi: l'unica scena ad avere tutte le stesse figure nella sinopie e nell'affresco e la Resurrezione.L'Ultima Cena è dipinta come se si stesse svolgendo in un piccolo edificio, un triclinium imperiale nello stile rievocato negli scritti di Leon Battista Alberti, con la parete anteriore assente, in modo da permettere allo spettatore la visione dell'interno. L'ambientazione è curata nei minimi dettaglio: dai tegoli del tetto, al soffitto a quadrati bianchi e neri, dal pavimento alle pareti laterali, fino ai due muri in laterizio che chiudono la scena a destra e a sinistra. Tutto è inquadrato in una prospettiva rigorosa, con un forte scorcio laterale, dove tutti gli elementi hanno una precisa collocazione geometrica.La cena di Gesù con gli apostoli si svolge in una stanza all'antica, decorata con lussuosa e raffinata eleganza: attorno a un lungo tavolo con una tovaglia bianca, che evidenzia lo sviluppo orizzontale della scena, stanno seduti su scranni coperti da un drappo con motivi floreali, gli apostoli e Gesù, tranne Giuda che si trova sul lato opposto, su uno sgabello. La collocazione di Giuda separato dal resto degli apostoli è tipica dell'iconografia (anche se di solito si trova a destra, piuttosto che a sinistra di Gesù) e la sua figura barbuta e di profilo assomiglia a quella di un satiro della mitologia romana, dalla quale i cristiani avevano mutuato molte delle caratteristiche fisiche del diavolo.Anche il san Giovanni dormiente accanto a Cristo è un elemento tradizionale, presente ad esempio, assieme al Giuda di spalle, anche nel cenacolo di Santa Croce di Taddeo Gaddi, per rimanere in ambito fiorentino. Le spalliere sono decorate da sfingi e anfore scolpite alle estremità, un evidente richiamo al gusto antico. Alle spalle degli apostoli risaltano una serie di riquadri con finte specchiature in marmi pregiati, che accrescono, con il loro rigore geometrico e coloristico, la staticità e la solennità della scena. Esse sono molto più cupe, e per questo realistiche, delle specchiature marmoree usate in opere coeve di pittori come Filippo Lippi o Beato Angelico. Fa eccezione il pannello più screziato alle spalle del Cristo, che sembra agata e richiama subito l'occhio dello spettatore verso il nodo del dipinto, tra le figure di san Pietro, Giuda e Cristo. In alto corre un fregio con nastri intrecciati e fiori. La medesima decorazione parietale ricorre anche sui lati, anche se qui il pittore fece un errore: sui lati brevi sta seduto un solo apostolo e la panca sembra essere di poco più lunga della tavola: in realtà, a contare i cerchi del fregio o le pieghe del drappo, essa dovrebbe essere lunga esattamente la metà della parete frontale, cioè corrispondere a tre intere specchiature quadrate, mentre ve ne sono disegnate sei. Sul lato destro si trovano due finestre, che giustificano l'illuminazione da destra, mentre la luce naturale oggi proviene da sinistra. Gli apostoli, allineati attorno alla tavola, sono rialzati di un piccolo gradino sul quale si trovano scritti i loro nomi, tranne Giuda, che non a caso si appoggia al di sotto del gradino. Le figure degli Apostoli sono intensamente caratterizzate con fisionomie realistiche e varie, colti in vari atteggiamenti ed espressioni. Il robusto contorno le fa sbalzare contro il fondo, tramite una cruda illuminazione laterale. Tipici sono il segno grafico netto e i passaggi di colore piuttosto bruschi, che creano risalto espressivo.Oltre il tetto della scatola prospettica dell'Ultima Cena sono raffigurate, da sinistra verso destra, la Resurrezione, la Crocefissione e la Deposizione nel sepolcro in un unico grande spazio pittorico, intervallato solo da due stipi-finestra, ma con lo stesso punto di fuga. Gli affreschi superiori sono caratterizzati da tonalità più tenui per via dell'ambientazione esterna, con una luce cristallina che evidenzia i corpi e i paesaggi. Questa luce può anche essere letta come un riferimento alla luce divina nell'avverarsi della redenzione, quindi più legate a un messaggio positivo di salvezza. L'ambientazione è stata riconosciuta come un paesaggio di tipo appenninico, simile a quello nei pressi del monte Falterona di dove era originario Andrea. Grande drammaticità si ritrova in più episodi, che contraddice l'immagine coniata dal Vasari e spesso ripetuta acriticamente che vede Andrea del Castagno come un artista incapace di dipingere sentimenti di tenerezza: bastano episodi come l'abbraccio muto di Giovanni o lo svenimento della Vergine tra le pie donne per contraddire tale ipotesi.Gli angeli che si disperano volando nella parte più alta fanno da elemento di raccordo tra le tre scene. Le loro espressioni sono tratte dalla tradizione, ma innovativo è il trattamento vaporoso delle loro vesti, anche se congelate dal tratto energico e sostanzioso dell'artista.Nel Museo del cenacolo di Sant'Apollonia sono conservate anche altre opere quattrocentesche provenienti dall'ex monastero e dall'ospedale di Santa Maria Nuova, di Paolo Schiavo di Neri di Bicci (due tavole) e le poche tracce degli affreschi e delle sinopie di Domenico Veneziano, con l'aiuto di Alessio Baldovinetti, Piero della Francesca e lo stesso Andrea del Castagno, con le Storie della Vergine, già nella chiesa di Sant'Egidio.Altre opere di Andrea del Castagno sono il Cristo in Pietà sorretto da due angeli con sinopia (1447-1448 circa), proveniente dal chiostro del monastero, la sinopia della parte inferiore della Trinità e santi della Santissima Annunziata e la Crocifissione di Santa Maria degli Angeli, dal convento camaldolese fiorentino. Sempre nella sala del refettorio si trovano i pochi resti degli affreschi di Sant'Egidio, opera cardine del primo rinascimento fiorentino di Domenico Veneziano, Andrea del Castagno, Alesso Baldovinetti e Piero della Francesca purtroppo perduta con i rinnovi cinquecenteschi della chiesa. Appeso alla parete sud si trova un Crocifisso attribuito a Baccio da Montelupo.Tra le opere di altri autori sono presenti una Pietà e una Crocifissione con sinopia di Paolo Schiavo (dal monastero), una Madonna col Bambino e santi (dalla chiesa del monastero) e un'Incoronazione della Vergine e santi di Neri di Bicci, un tabernacolo di scuola fiorentina del 1470 circa.La parte restante del complesso oggi appartiene all'Università di Firenze, alla Regione Toscana e all'esercito. Il grande chiostro della Badessa, a due piani, è tra i più ampi di Firenze e presenta al pian terreno un elegante colonnato quattrocentesco di ordine ionico (su tre lati) e colonnine al piano superiore. Oggi è usato dall'Università (sull'edificio del lato sud si trova la mensa degli studenti) ed è attualmente in restauro (2010). Un secondo chiostro, detto "del Silenzio", è di dimensioni più piccole, mentre un terzo è detto "del Noviziato". La chiesa del monastero è oggi sconsacrata e viene usata come sala per conferenze: il semplice ma solenne portale, attribuito a Giovanni Antonio Dosio, immette nell'aula, divisa da tre navate, dove sono rimasti alcuni affreschi di Bernardino Poccetti. Il coro sopraelevato è un tipico indizio della presenza in antico delle monache. Lo stesso autore dipinse anche un'Ultima cena nel comunicatoio delle monache. Fra gli ambienti di particolare pregio esiste anche una sala con pitture risalenti a due periodi diversi del Trecento e composti da più scene, accostate in fantasiose cornici.