Museo Nazionale di San Marco

Piazza San Marco 1-3. (Apri Mappa)
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Descrizione

Il Museo nazionale di San Marco, che ha sede nella parte monumentale di un antico convento domenicano, si trova in piazza San Marco a Firenze, in Italia.Il museo, che di per sé è un capolavoro architettonico di Michelozzo e un edificio di primissima importanza storica nella città, possiede la migliore collezione al mondo delle opere, sia su tavola sia ad affresco, di Beato Angelico, il quale visse in questo monastero per un certo periodo. Altri maestri qui rappresentati sono Fra' Bartolomeo, Domenico Ghirlandaio, Alesso Baldovinetti, Jacopo Vignali, Bernardino Poccetti, Giovanni Antonio Sogliani e altri. Nel lapidario sono inoltre custoditi i resti di edifici demoliti nel periodo del Risanamento di Firenze capitale (dal 1865-1871).San Marco rimane tuttora una comunità domenicana, e i frati abitano il chiostro interno, dietro la stanza capitolare.Il complesso originario venne eretto per i silvestrini prima del 1300 e svolgeva oltre alle funzioni di monastero quelle di chiesa parrocchiale. Di questo periodo restano alcune tracce di affreschi in ambienti al di sotto del piano di calpestio recentemente ritrovati. Nel 1418 i monaci, accusati di decadenza della regola monastica, vennero intimati a lasciare il complesso, ma ci volle l'intervento diretto di papa Eugenio IV e del concilio di Basilea perché la struttura venisse finalmente lasciata ai domenicani osservanti da San Domenico di Fiesole, solo nel 1437. Decisivo era stato anche l'intervento di Cosimo de' Medici, che già dal 1420 aveva sostenuto il convento francescano riformato del Bosco ai Frati e fin dal ritorno dall'esilio (1434) si era manifestato desideroso di reinsediare una comunità osservante di domenicani a Firenze. Quando i silvestrini si spostarono nel più piccolo monastero di San Giorgio alla Costa, i domenicani ne presero possesso, ma trovarono una struttura fatiscente, dove per circa due anni vissero in celle umide e capanne di legno.Fu così che nel 1437 Cosimo commissionò a Michelozzo, architetto di fiducia di casa Medici, la ricostruzione del convento secondo i più moderni canoni rinascimentali. Nel 1438 i lavori erano già ben avviati e la consacrazione definitiva avvenne durante la notte dell'Epifania del 1443, alla presenza di papa Eugenio IV e dell'arcivescovo di Capua e cardinale Niccolò d'Acciapaccio. Il convento fu una delle opere che furono al centro del nuovo assetto del quartiere nord del centro di Firenze (il "quartiere mediceo"), assieme al palazzo di famiglia ed alla basilica di San Lorenzo. La grande stagione di mecenatismo mediceo ebbe infatti il suo culmine proprio in quegli anni, soprattutto in occasione del trasferimento del Concilio a Firenze nel 1439.Cosimo investì una notevole quantità di denaro nella ricostruzione del convento, sborsando più di 40 mila fiorini, come testimonia il Vasari nelle Vite. Michelozzo vi lavorò dal 1439 al 1444. Il complesso venne progettato secondo norme di semplice ma elegantissima funzionalità: pareti intonacate di bianco, ambienti organizzati su due chiostri (di Sant'Antonino e di San Domenico), con un capitolo, due refettori e una foresteria al piano terra. Il primo piano ospitava le celle dei monaci, stanzette chiuse al di sotto di un'unica copertura del soffitto con grandi capriate. Chiostro, sala capitolare e dormitorio nord dovettero già essere terminati entro il 1440-1441. Il dormitorio meridionale, affacciato sulla piazza, venne completato nel 1442. I lavori proseguirono in una parte o l'altra del convento fino al 1452.Punto d'eccellenza era la biblioteca al primo piano, con un arioso spazio con due colonnati che creano tre navate coperte con volte a botte. Numerose finestre illuminano l'ambiente con abbondante luce naturale facilitando lo studio, la lettura e la copiatura dei manoscritti. Qui studiarono i preziosi patrimoni librari collezionati da Medici (con rari testi greci e latini) umanisti come Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola.Oltre al Beato Angelico, Antonino Pierozzi e Fra' Bartolomeo, vi visse dal 1489 fra' Girolamo Savonarola, che fece del convento il suo quartier generale: dopo essere divenuto priore si scagliò duramente contro i costumi lascivi e ostentatamente lussuosi dei fiorentini, prima di inimicarsi la curia di papa Alessandro VI Borgia e finire sul rogo in piazza della Signoria (1498).Il complesso venne espropriato una prima volta nel 1808, tornò ai frati dopo la caduta di Napoleone, per poi venire in larga parte confiscato dal demanio nel 1866 (Regio decreto del 7 luglio 1866). Rimasero di pertinenza dei domenicani la chiesa, gli ambienti affacciati sul chiostro di San Domenico e la biblioteca di Spiritualità "Arrigo Levasti", che possiede più di diecimila esemplari tra volumi e opuscoli e che fu fondata nel 1979 col lascito del grande studioso cattolico.Dopo un restauro e adattamento generale, il complesso venne in larga parte riaperto come museo nel 1869, dopo essere stato dichiarato monumento di importanza nazionale. In quel periodo gli affreschi dell'Angelico vennero restaurati dal pittore Gaetano Bianchi. Nel 1906 vi confluirono i resti architettonici degli sventramenti ottocenteschi: fu allora creato il Museo di Firenze antica, organizzato da Guido Carocci. Nel 1922 Giovanni Poggi fece sì che nel museo venissero a confluire il maggior numero possibile di opere di Beato Angelico (soprattutto provenienti da Uffizi e Accademia), creando una preziosissima esposizione monografica ancora oggi esistente.Dal 1934 al 1977 visse nel convento il più volte sindaco di Firenze Giorgio La Pira.A San Marco i danni dell'alluvione di Firenze non furono fortunatamente ingenti come in altri monumenti cittadini per via dell'altitudine leggermente superiore della zona rispetto a quartieri più vicini all'Arno. Dal 1979 al 1983 è stata adattata la foresteria per ospitare le opere di Fra Bartolomeo, a conclusione di una serie di restauri condotti da Dino Dini.Nel 2007 sono stati acquistati dalla Soprintendenza e dall'ente Cassa di Risparmio di Firenze due piccoli pannelli di santi dalla Pala di San Marco, che sono destinati ad arricchire ulteriormente le collezioni del museo.Superato il vano della biglietteria, il percorso museale inizia dal chiostro detto "di Sant'Antonino", costruito da Michelozzo prima del 1440 con quattro lati porticati e coperti da volte a crociera sorrette da slanciate colonne. Vi si affacciano da ovest in senso antiorario rispettivamente la chiesa, l'antico ospizio, la sala del refettorio e quella del Capitolo, accanto alla quale si trova anche l'accesso che porta al Cenacolo del Ghirlandaio, al lapidario, alle scale per il piano superiore ed all'uscita.Le decorazioni più antiche sono quelle eseguite ad affresco da Beato Angelico in corrispondenza delle cinque lunette ogivali sulle porte che danno sul chiostro (la lunetta della porta della chiesa è staccata e si trova nella sala del Lavabo): San Pietro Martire che ingiunge il silenzio (sagrestia), San Domenico che mostra la regola dell'Ordine, San Tommaso d'Aquino con la Summa, Cristo pellegrino accolto da due domenicani e Cristo in pietà. Particolarmente significativo è poi il grande affresco, sempre dell'Angelico, del Calvario con san Domenico, nell'angolo nord-ovest.La decorazione del chiostro ad affresco venne in larga parte completata con le lunette tra la fine del Cinquecento e primi decenni del Seicento, con un ciclo dedicato alle Storie della vita e dei miracoli di Sant'Antonino Pierozzi, da un team di artisti tra i quali Bernardino Poccetti. Ciascuna lunetta riporta un cartiglio che descrive la scena e l'arme del committente. Tra le scene più efficaci quelle del Poccetti (Sant'Antonino eletto arcivescovo di Firenze, sul lato est), quelle di Lorenzo Cerrini (Predica di sant'Antonino, lato est, e Sant'Antonino assolve dalla censura gli Otto di Balia, sul lato nord), di Alessandro Tiarini (Consacrazione della chiesa di San Marco, lato nord).Il ciclo è completato dai busti di papi e cardinali domenicani nei pennacchi vicino alle colonne.Il chiostro aveva anticamente le pareti coperte da lapidi e iscrizioni, che vennero quasi completamente rimosse ed oggi si trovano soprattutto in un ambiente sotterraneo del museo, accessibili su richiesta per gli studiosi.La sala dell'Ospizio, dove in origine venivano accolti i pellegrini più umili (a differenza degli ospiti di una certa importanza alloggiati nella foresteria), è dedicata al Beato Angelico e raccoglie molti dei suoi più importanti dipinti su tavola.Michelozzo creò un vano ben equilibrato nelle proporzioni.Vicino ad uno dei due ingressi si trova una delle opere più famose della collezione, la Deposizione, eseguita per Palla Strozzi per la sagrestia di Santa Trinita: iniziata nelle cuspidi e nella predella da Lorenzo Monaco, fu meravigliosamente completata dopo la sua morte (1424) dall'Angelico nella parte centrale, con una scena di grande sensibilità rinascimentale, sebbene con richiami ancora tardo gotici, entro il 1432.Sulla parete dove si aprono le finestre si trova il Trittico di San Pietro Martire, forse anteriore al 1429, con influssi spiccatamente derivati da Masaccio. Sul lato opposto si trova la Pala d'Annalena, dal convento di Annalena, che raffigura la Madonna col Bambino e i santi Pietro Martire, Cosma e Damiano, collocata verso il 1434 e considerata una delle prime opere in assoluto pienamente rinascimentali, grazie all'unità prospettica dell'organizzazione spaziale.Sul lato opposto è appeso il Giudizio Universale (1431 circa), dal convento di Santa Maria degli Angeli, dall'insolita forma dovuta alla collocazione originaria sul leggio per il coro. La tavoletta con l' Imposizione del nome al Battista fu copiata nel 1434 da Andrea di Giusto, quindi dipinta antecedentemente. Questa opera, con altre di analoghe, piccole dimensioni, in parte anche in musei esteri, si trovava a Santa Maria Novella e doveva decorare forse uno sportello di un armadio contenente reliquie.Sui pilastri sono esposte la Madonna della Stella, l'Annunciazione e adorazione dei Magi, l'Incoronazione della Vergine, anticamente tre reliquiari che sembrano appartenere a una medesima serie.La Pala di San Marco, capolavoro dell'Angelico, è stata molto alterata da un disastroso restauro sette-ottocentesco. Venne realizzata per l'altare maggiore della chiesa di San Marco prima del 1440, quando sostituì la precedente pala di Lorenzo di Niccolò oggi a Cortona. Nella pala sono presenti i santi Cosma e Damiano, protettori di casa Medici, che rivelano l'origine della committenza. Della predella di questa pala restano due pannelli (Sepoltura dei santi Cosma e Damiano e Miracolo del diacono Giustiniano), mentre altri sono sparsi nei musei di altri paesi.Il cosiddetto Armadio degli Argenti proviene dalla basilica della Santissima Annunziata ed è una pala composta da più riquadri, opera tarda dipinta verso il 1450. Riprende il concetto dei pannelli-reliquiari per Santa Maria Novella ed è composto da 35 riquadri dei quali uno doppio. Le varie scene compongono le Storie della vita di Cristo e sono tutte di mano del maestro tranne le tre formelle con le Nozze di Cana, il Battesimo e la Trasfigurazione, che vengono in genere attribuite ad Alessio Baldovinetti.La tavola cuspidata della Madonna col Bambino ha i pannelli laterali nella sala del Lavabo. Il Compianto sul Cristo morto, datato 1436, si trovava nella chiesa di Santa Maria della Croce al Tempio, come i due tondi con la Crocefissione e l' Incoronazione della Vergine, fu danneggiato gravemente nella parte inferiore durante l'alluvione del 1966. La Sacra conversazione (1450-1452) è una pala proveniente dal convento del Bosco ai Frati, altra opera architettonica commissionata da Cosimo il Vecchio a Michelozzo.In fondo alla sala campeggia il monumentale tabernacolo dei Linaioli, eseguito nel 1433-1434 in collaborazione con Lorenzo Ghiberti (autore del disegno dell'incorniciatura marmorea). Commissionato dall'Arte dei Linaioli, segna l'inizio della fase più matura dell'Angelico. Notevole è la parte centrale, con la Madonna col Bambino e dodici angeli, ma anche i tre pannelli della predella, dove le scene sono ambientate in una prospettiva ben studiata.Anche la Sala Capitolare fu affrescata dal frate pittore con la complessa e allegorica Crocifissione terminata nel 1442, un vero capolavoro, durante la realizzazione della quale si dice che l'Angelico si commosse fino alle lacrime. Lo sfondo è rossastro, ma anticamente era coperto di preziosi pigmenti azzurri, che sono caduti rivelando la preparazione sottostante.L'iconografia è originale perché oltre ai canonici personaggi (la Vergine, la Maddalena, San Giovanni Evangelista) vi sono collocati attorno alla croce una serie di santi legati a Firenze, ai Medici e all'ordine domenicano: da sinistra i santi Cosma e Damiano, san Lorenzo, san Marco, san Giovanni Battista; inginocchiati sono san Domenico, san Girolamo, san Francesco, san Bernardo, san Giovanni Gualberto, san Pietro Martire; dietro a questi, in piedi, san Zanobi, sant'Agostino, san Benedetto, san Romualdo e san Tommaso d'Aquino; infine nella bordura inferiore è stata raffigurata la genealogia domenicana, con sedici santi e beati entro clipei, con al centro il fondatore.Tutta la scena è caratterizzata da un senso contemplativo, sottolineato dall'assenza di un vero e proprio sfondo, che sacrifica la narrazione in favore di una sacralità improntata alla preghiera.Legata alle vicende savonaroliane, la campana della chiesa (detta "la piagnona", come i "piagnoni" i seguaci del frate ferrarese), attribuita al Verrocchio, subì un curioso processo come punizione per aver suonato ad allarme quando i fiorentini si accalcarono al convento per prelevare il frate condannato per eresia. La campana fu staccata e portata in processione per la città mentre veniva colpita da fruste di cuoio per castigo. Fu deposta presso la chiesa di San Salvatore al Monte e non suonò mai più. Dopo essere stata conservata a lungo nel cortile del Museo topografico Firenze com'era, dai primi anni del 2000 è tornata in questi luoghi legati alla sua storia, ed oggi è all'interno della sala del capitolo.Il lavabo è un ambiente tipico degli ambienti monastici e si trova quasi sempre accanto al refettorio; qui i monaci si detergevano prima di accostarsi al pasto. Questa parte del convento ha mantenuto l'aspetto architettonico tardo-trecentesco.Sulla destra dopo l'ingresso è esposto il Crocifisso sagomato con i santi Niccolò e Francesco, opera dell'Angelico, originariamente nell'oratorio della confraternita di San Niccolò al Ceppo (la testa di san Francesco è frutto di un reintegro moderno). Dello stesso autore sono anche le tavole con i Santi Benedetto e Giovanni Battista e con i Santi Francesco d'Assisi e Onofrio, scomparti laterali della tavola con la Madonna col Bambino nella sala dell'Ospizio. Proveniente dal chiostro di Sant'Antonino è la lunetta dell'Angelico con san Pietro martire che fa il segno del silenzio, esposto accanto alla sua sinopia ed a una robbiana.A sinistra dell'ingresso si trova una lunetta ad affresco con la Madonna col Bambino, opera di Paolo Uccello proveniente dalle case dei Beccuto, famiglia dalla quale proveniva la madre del pittore. Dello stesso pittore è la predella che decorava una pala già nell'oratorio dell'Annunziata ad Àvane, presso Firenze.Il refettorio Grande era quello usato dai monaci del convento. Coperto da volte ribassate, fu riallestito nel 1983 ed oggi ospita opere datate tra il XVI e il XVIII secolo.La sala è dominata dall'affresco di Giovanni Antonio Sogliani (firmato e datato 1536) con la Provvidenza dei domenicani, sormontata dalla Crocefissione. Questo tema è una variante del tema del pasto (di solito nei refettori veniva raffigurata l'Ultima cena), tipica dei cenobi domenicani: i frati, rimasti senza viveri dopo la morte del fondatore, vengono miracolosamente serviti da angeli (una scena analoga si trova anche in una lunetta del Chiostro Grande di Santa Maria Novella).Sempre del Sogliani sono collocate in questa sala una Madonna della Cintola, una Madonna con Tobiolo, angelo e sant'Agostino e le tavole con San Francesco e Santa Elisabetta d'Ungheria. Un'altra Madonna della Cintola è opera di Ridolfo del Ghirlandaio.Altri dipinti cinquecenteschi appartengono alla cosiddetta scuola di San Marco, influenzata dall'opera di Fra Bartolomeo. Tra questi le opere di Fra' Paolinoda Pistoia, come la Natività con sant'Agnese e il Cristo deposto, probabilmente iniziato dal suo maestro e lasciato interrotto dopo la morte (1517). Dalla Santissima Annunziata proviene la Deposizione di Cristo, dipinta dalla monaca suor Plautilla Nelli, che ricevette commissioni anche importanti nonostante la clausura. Il San Marco di Anton Domenico Gabbiani è una copia da fra' Bartolomeo, oggi conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti.Di autori anonimi sono le opere dei Santi Francesco e Chiara in adorazione dell'ostia e dei due angeli su battenti, forse provenienti da un organo portatile.Altre opere qui esposte sono il San Carlo Borromeo che dà una bolla a un domenicano di Jacopo Ligozzi (1600), la Crocefissione di Lorenzo Lippi, l' Orazione nell'orto di Filippo Tarchiani, Tobiolo e l'angelo di Jacopo Vignali e una piccola pala dello stesso autore, studio preparatorio per una tavola d'altare che non venne dipinta o che non ci è pervenuta.Baccio della Porta assunse il nome di Fra' Bartolomeo verso il 1500, quando, a venticinque anni, prese i voti come domenicano. Visse in questo convento e fu profondamente influenzato da Savonarola, arrivando al punto da distruggere tutte le opere profane che aveva dipinto e dedicarsi ai soli temi religiosi. Originariamente in questa sala, collegata a quella del lavabo, erano presenti le cucine.Il lunettone del Giudizio Universale proviene dall'arcispedale di Santa Maria Nuova: venne staccato nel 1871 ed è molto danneggiato, ma nonostante ciò è un'opera molto importante, studiata anche da Raffaello Sanzio.La Pala della Signoria è un'opera monocroma incompiuta (1512 circa) originariamente destinata al salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio e poi esposta in San Lorenzo. Vi si riscontrano influssi veneziani nella luminosa spazialità.Altre piccole opere sono il Cristo portacroce, su tavola, il famoso ritratto di Girolamo Savonarola e la serie di piccole effigi dipinte su tegole, provenienti dal convento di Santa Maria Maddalena a Caldine (Fiesole); vi sono raffigurati, tra gli altri, la Maddalena, la Santa Caterina e un Ecce homo.Anche questa sala faceva parte delle cucine e venne aperta al pubblico nel 1983. È dedicata alle opere di Alesso Baldovinetti, tra le quali spiccano lo stendardo processionale con Sant'Antonino in adorazione del Crocifisso, con una rara cornice tardo-quattrocentesca (non originalmente accostata all'opera), la Madonna con Bambino e santi e la Madonna dell'Umiltà.Vi sono collocate anche un predellino di Benozzo Gozzoli e una Madonna col Bambino e angeli di Cosimo Rosselli (1475-1480 circa).Da questa sala, o ritornando nel chiostro di Sant'Antonino, si accede ad alcune sale di comunicazione, alle scale per il piano superiore ed al chiostro di San Domenico, chiuso al pubblico perché usato dai padri domenicani, osservabile da una porta vetrata e dalle finestre della foresteria. Progettato da Michelozzo, venne decorato da lunette affrescate da Alessandro Gherardini; al centro vi è collocata la statua di San Domenico che calpesta l'eresia, opera settecentesca di Andrea Baracca.Tra le opere collocate nelle sale di comunicazione spicca il Crocifisso scolpito da Baccio da Montelupo nel 1496, già nella chiesa del convento.Affrescato nel 1486 da Domenico Ghirlandaio e aiuti, con aiuti della bottega, fu eseguito nel refettorio della foresteria o refettorio Piccolo, dove mangiavano in genere le persone ospitate nel convento, non i monaci. Si ritiene in genere che Domenico, a quel tempo al culmine della popolarità e pieno di commissioni, abbia preparato solo il disegno (con impostazione analoga al cenacolo di Ognissanti) differendo la realizzazione pittorica soprattutto al fratello Davide e al cognato Sebastiano Mainardi.Dell'affresco nel convento di Ognissanti ricalcò la quinta architettonica, con l'apertura nelle volte su un loggiato in prospettiva e dietro su un giardino, comprese le piante e gli animali presenti (tutta una metafora della Passione, con i vari animali e frutti in un preciso complesso simbolico: il pavone, gli uccelli predatori, il gatto accanto a Giuda), mentre sono più numerose le variazioni nella raffigurazione delle figure umane. L'iscrizione che corre sulla parete sopra le teste degli apostoli riporta «Ego dispono vobis disèposuit mihi pater meus regnum ut edatis et bibatis super mensa meam in regno meo» una frase usata anche durante la messa che allude alla trasmigrazione nel Regno dei Cieli.Rispetto ad Ognissanti la rappresentazione appare più seria e monumentale, con i personaggi più composti, il che fa pensare che il Ghirlandaio avesse voluto rappresentare il momento successivo all'annuncio del tradimento, con Giuda, sempre di spalle che ha già in mano il pezzo di pane offertogli da Gesù e l'agitazione degli apostoli già più acquietata.Nella parte centrale, dove si congiungono i due archetti della volta, fu raffigurato un piccolo Crocefisso, secondo uno schema ben consolidato di affiancare scene delle passione alla rappresentazione della cena.In questa sala si trovano anche una Deposizione di Cristo, in terracotta policroma invetriata della bottega dei Della Robbia, e uno stemma analogo.Nella foresteria sono raccolti numerosi resti lapidei provenienti dalle demolizioni ottocentesche del centro di Firenze e del ghetto, durante l'epoca del "Risanamento" a cavallo tra XIX e XX secolo.In fondo a questo ambiente è situata l'uscita del museo, su via della Dogana.