Opificio delle Pietre Dure

Via degli Alfani 78. (Apri Mappa)
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Descrizione

L'Opificio delle Pietre Dure ha sede a Firenze in via degli Alfani ed è un Istituto Centrale dipendente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la cui attività operativa e di ricerca si esplica nel campo del restauro e della conservazione delle opere d'arte.L'Opificio è, assieme all'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, uno degli istituti più importanti e rinomati nel campo del restauro, non solo al livello nazionale, ma anche internazionale.L'istituto nasce dalla fusione di due realtà diverse per storia, ma, nel tempo, divenute affini per scopi e finalità: nel 1975 con la legge istitutiva del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali tutti i laboratori di restauro fiorentini (l'antico Opificio delle Pietre Dure ed i laboratori di restauro fiorentini) vennero riuniti sotto il nome e l'egida dell'Opificio delle Pietre Dure, grazie allo status di autonomia di cui l'antica istituzione già godeva.Il primo nome, Opificio delle Pietre Dure, risale direttamente ad una delle antiche manifatture artigianali e artistiche di epoca granducale a Firenze, istituito nel 1588 nell'ex-convento di San Niccolò dal Granduca Ferdinando I de' Medici come manifattura di opere in pietre dure, la cosiddetta arte del commesso fiorentino, con la quale si realizzano tuttora splendidi intarsi con pietre semipreziose. In particolare il granduca aveva bisogno di formare le maestranze necessarie per realizzare la grande cappella dei Principi in San Lorenzo, coperta di marmi intarsiati.Il commesso a differenza del mosaico non usa tessere geometriche, ma intaglia pezzi più grandi, scelti per colore, opacità, brillantezza e sfumature delle venature, creando un disegno figurato. Si realizzarono così opere d'arte di straordinario valore, dai mobili a oggetti vari, fino a copie perfette di pitture da appendere, che oggi arricchiscono i musei di tutto il mondo testimoniando la genialità e la tecnica degli artigiani fiorentini.Alla fine del XIX secolo, con il tramonto della dinastia medicea prima e lorenese poi, cessò anche la richiesta di produzione di arredi in commesso di pietre dure e si passò dalla attività di manifattura a quella del restauro della produzione precedente. A questo tipo di attività di restauro si aggregarono altri laboratori simili per materiali su cui si interveniva, come il mosaico e le opere d'arte lapidee.La seconda realtà che venne a confluire nel moderno Istituto ha un'origine più recente: risale infatti al 1932 quando presso la Soprintendenza delle Belle Arti di Firenze Ugo Procacci, allora giovanissimo funzionario storico dell'arte, fondò il primo laboratorio di restauro moderno d'Italia. Era l'epoca in cui, su spinta di un nuovo approccio storicistico e positivista all'opera d'arte, nascevano un po' ovunque nel mondo i primi laboratori di restauro scientifici (essendo stato fino ad allora principalmente il restauro una disciplina affidata ai cosiddetti 'pittori di galleria'). Nascono tra la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30 infatti i laboratori del Fogg Art Museum a Boston, della National Gallery a Londra, il Doernher Institute a Monaco. Il laboratorio della Soprintendenza fiorentina (il 'Gabinetto Restauri', come venne chiamato da Ugo Procacci) fu il primo in assoluto in Italia e fra i primissimi nel mondo. Fra i suoi meriti ci fu quello della applicazione delle indagini scientifiche come atto preliminare al restauro, iniziando con la Radiografia, che rivelando gli strati nascosti sotto le ridipinture di molti dipinti, permise la cosiddetta stagione dei restauri di rivelazione che caratterizzò gli interventi portati avanti dal laboratorio fini agli anni '50.Grosso impulso all'attività di ricerca e restauro operativo si ebbe in seguito al tragico evento dell'alluvione di Firenze del 1966, quando molte opere d'arte ebbero necessità di importanti restauri. Il Gabinetto Restauri della Soprintendenza venne allora trasferito in un edificio interno alla Fortezza da Basso (tuttora la sede più ampia dei laboratori dell'Opificio), per la necessità di ospitare un numero immenso di opere da restaurare, anche di grandissimo formato, come l'immensa Croce dipinta di Cimabue, proveniente dal Museo dell'Opera di Santa Croce. Grazie anche all'aiuto di restauratori provenienti da tutte le parti del mondo, il laboratorio fiorentino divenne uno dei centri all'avanguardia nel mondo del restauro, sintetizzando tradizione e modernità tecnologica.L'istituto è diviso in settori che corrispondono ai diversi materiali di cui si compongono le opere d'arte. È sede, inoltre, di una Scuola di Alta Formazione e di Studio (vedi voce relativa), di un museo e di una biblioteca altamente specializzata nel settore del restauro.La sede dell'Opificio delle Pietre Dure è a Firenze. L'istituto è diviso in tre diverse localizzazioni: la storica sede di Via degli Alfani, 78, che ospita i laboratori di restauro del commesso e mosaico, dei materiali lapidei, dei bronzi, delle oreficerie, dei materiali ceramici; la scuola, la biblioteca e il museo; la grande sede della Fortezza da Basso (laboratorio di restauro dei dipinti, dei materiali cartacei, dei materiali tessili e delle sculture lignee); e la Sala delle Bandiere in Palazzo Vecchio (per gli arazzi).La Scuola di restauro attiva presso l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze ha avviato i propri corsi nel 1978. Ufficialmente istituita con la legge 20/01/1992 n. 57 e regolamentata con il successivo DPR 294/1997, è diventata Scuola di Alta Formazione e di Studio nel 1998. Nel 2004 la Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna è divenuta sede distaccata della SAF dell'OPD, venendo ad integrare uno dei settori storici dell'Istituto. Ai sensi del D. Lgs. 156/2006, art. 29, comma 9, il diploma della Scuola dell'OPD è equiparato al diploma di laurea magistrale. Il regolamento della scuola è definito dal Decreto Soprintendentizio n° 1355 del 14 aprile 2011 e successive modifiche apportate dal Decreto n° 119 del 20.12.2011I corsi, a ciclo unico, articolati in 300 crediti formativi hanno durata quinquennale. Comprendono lezioni teoriche e attività tecnico-didattiche che si svolgono all'interno dei laboratori. È richiesta la frequenza obbligatoria.Il personale docente è costituito sia da personale interno che da esperti provenienti da Enti ed istituti impegnati nella ricerca e nell'attività di tutela e conservazione.L'accesso avviene tramite concorso pubblico internazionale, bandito annualmente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Requisito indispensabile per l'ammissione al concorso è il possesso del diploma quinquennale di scuola secondaria superiore o quadriennale più un anno integrativo. Possono partecipare al concorso cittadini comunitari ed extracomunitari.Il piccolo ma interessante museo raccoglie alcuni esempi di lavori in pietre dure, fra i quali cabinet, piani di tavolini, placche e targhette varie intarsiate, con un vasto repertorio di decorazioni, per lo più con fiori, frutta e animali, ma anche con altre scene pittoriche, fra le quali una famosa veduta di Piazza della Signoria. Alcune opere che colpiscono particolarmente ci sono il grande caminetto barocco interamente ricoperto di malachite, di un verde smagliante, e le copie di quadri eseguiti ad intarsio, con una lucentezza e bellezza a volte maggiore degli originali su tela esposti accanto.Alcuni spazi sono dedicati a pietre particolari, come la pietra paesina, estratta vicino a Firenze, i cui strati di colori diversi, se sezionati opportunamente, danno l'illusione di un paesaggio roccioso dipinto.Al primo piano sono esposti gli strumenti per l'intarsio ed un campionario completo delle pietre dure risalente all'epoca dei Medici. Nell'ultima sala sono esposti vasi e suppellettili decorate in stile liberty dei primi del Novecento, fra le quali il piano di tavolo con arpa e ghirlande di Zocchi (1849) e quello con fiori e uccelli di Niccolò Betti (1855).Alla fine degli anni Ottanta la direttrice del museo dell'Opificio, Anna Maria Giusti, decise di procedere a un sostanziale rinnovamento del vecchio salone di ostensione dei manufatti lapidei - ancora caratterizzato dalla disposizione ottocentesca nonostante la ristrutturazione operata negli anni Sessanta dall'architetto Bartoli ed Edward Maser - così da trasformarlo in un moderno museo ordinato secondo un criterio al contempo cronologico e didattico.Il nuovo allestimento previde il trasferimento di tutto il museo al piano terra, così da liberare le stanze del piano nobile e trasformarle in uffici. L'incarico fu affidato a Adolfo Natalini dopo che la committente aveva visto e apprezzato il vicino teatro della Compagnia. Nell'aprile del 1989 l'architetto pistoiese cominciò il progetto e i lavori furono avviati nel 1991. Nell'estate del 1995 vennero conclusi e il museo fu ufficialmente inaugurato il 1 luglio dello stesso anno.Poche le annotazioni critiche sul progetto; Vittorio Savi (1996) sottolinea il carattere di familiarità dell'intervento, che si presenta come una casa dove una parete sia stata tolta per mostrare l'interno e dove le "stanze" sono costituite da grandi vetrine classiche in legno.Dal centrale portale in pietra serena si accede al vestibolo sul cui fondo è visibile il cortile interno utilizzato anche come mostra di pezzi lapidei: ai lati del vestibolo sono situati la portineria e la scala di accesso ai piani superiori e, verso il cortile, l'ingresso al museo e la biglietteria.L'intervento è consistito nella riprogettazione e nell'allestimento del grande salone, nella ristrutturazione delle attigue salette ottocentesche e nella creazione della biglietteria e dei servizi igienici del piano terra.Il salone presenta una pianta rettangolare e un doppio volume, conseguito tramite l'inserimento di tre massicci pilastri di ordine gigante (in cemento e rivestiti in pietra serena con ricorsi orizzontali) che vengono a definire quattro spazi a pianta quadrata: queste nicchie al piano terra affacciano sul corridoio finestrato, mentre al piano superiore scompaiono per lasciare il posto ad un unico vano scandito unicamente dal segno verticale dei pilastri. Le vetrine (in legno di ciliegio e pero) sono ricavate alle pareti delle quattro nicchie (che ospitano i pezzi secondo un allestimento tematico e cronologico) e sul lato finestrato, più basse. Al fondo della sala è situata, allineata con il filo esterno dei tre pilastri, la scala rettilinea che conduce al piano ballatoio: questa presenta il fianco connotato da un arco zoppo, al di sotto del quale si accede alle salette ottocentesche, e è caratterizzata dal medesimo rivestimento lapideo e disegno dei pilastri; in pietra serena sono anche le pedate ed il corrimano (quest'ultimo con un disegno di memoria buontalentiana) mentre le alzate sono rivestite da lastre di pietre dure (rosse, gialle e verdi). Il salone e le salette laterali sono illuminate da una luce diffusa mentre tutte le vetrine sono illuminate all'interno tramite fibre ottiche.